mercoledì 20 agosto 2014

Il Santo Padre emerito Benedetto XVI celebrerà la Santa Messa a conclusione di questo importante convegno...

Benedetto XVI non prenderà parte ai tre giorni di discussione. Ma terrà la Messa finale, quando tutti i membri dello Schuelerkreis scenderanno dal Centro Mariapoli di Castelgandolfo in Vaticano, dove ascolteranno la Messa e l’omelia del loro vecchio insegnante. Che, come sempre, ha improntato tutto sulla più ampia libertà. Così, per lo Schuelerkreis di quest’anno, padre Stephan Horn, presidente del Circolo di Studenti, ha presentato al Papa emerito tre temi, scelti appunto dai membri del gruppo storico Schuelerkreis e del gruppo “nuovo”. Tra questi, Benedetto XVI ha scelto il tema, “La Teologia della Croce”. E partendo dal tema, i membri dello Schuelerkreis hanno scelto il relatore: Karl-Heinze Menke.
“Un teologo molto stimato da Benedetto XVI”, fa sapere padre Horn. L’appuntamento, dunque, è dal 21 al 24 agosto. Si era ventilato, in un primo momento, che sarebbe stato il pastore Moltmann a parlare della teologia della Croce. Ma erano solo voci, perché i membri dello Schuelerkreis hanno virato decisamente su Karl-Heinz Menke. Professore di Dogmatica all’Università di Bonn, così amante del pensiero di Benedetto XVI da avergli dedicato un libro e vari studi, così prolifico da aver scritto anche un libro su come fare il Cammino di Santiago in bicicletta, Menke divenne famoso per essere stato citato nel secondo libro di Benedetto XVI sul Gesù di Nazareth, per la sua cristologia “Jesus got der Sohn”.
Basta andare a rileggere una intervista che Menke diede all’Osservatore Romano nel 2012 per comprendere come il suo pensiero e quello di Benedetto corrano sullo stesso binario.
Spiegava Menke che l’ultima edizione della sua cristologia ha “voluto rispondere al fenomeno del nostro tempo, che il Papa ha definito fin dall’inizio del suo pontificato come relativismo”. Aggiungeva Menke che “un tratto caratterizzante la cosiddetta post-modernità è la tesi delle molte verità collegata alla cosiddetta teologia pluralista delle religioni. Secondo la visione relativista e pluralista Dio è il trascendente al quale si riferiscono tutte le religioni in modi diversi, senza che nessuna di loro possa rivendicare più verità rispetto alle altre”. Un punto di vista – spiegava il professore di dogmatica – “particolarmente popolare perché permette alle persone di identificare la verità con le proprie visioni. Il cristianesimo è diametralmente opposto a questa tendenza. Per il Nuovo Testamento Cristo è ciò che è espresso nelle forme del Credo della tradizione cristiana: non è semplicemente uno tra altri interpreti del Dio trascendente, ma l’auto-comunicazione del Dio trinitario”.
E poi spiegava, rifacendosi proprio al libro di Benedetto XVI, che “la crocifissione di Gesù non è necessaria perché Dio lo impone, ma perché il peccato non può altrimenti essere sconfitto. Poiché dunque Gesù è l’opposto del peccato, egli attira l’odio del peccato. E perché Egli è veramente uomo, non lo è solo simbolicamente, ma in realtà vittima di questo odio. Dal Gesù di Nazaret emerge un Figlio di Dio reale come solo i santi hanno saputo sperimentare nei secoli”.
Soprattutto, Menke sottolineava che “tutti i tentativi di trovare fatti come tali o parole autentiche di Gesù sono illusorie. Gli scritti del Nuovo Testamento sono l’espressione della fede dei credenti del primo secolo. La verità non è il Gesù passato e sepolto, ma il Cristo vivente; e i credenti di tutti i secoli sono in comunicazione con il Cristo vivente. Il singolo credente può errare, ma non la comunità totale di tutti i credenti”, e sottolineava che “il cristianesimo non è una religione del libro. Perché la verità non è un libro, ma una persona. La Scrittura rende testimonianza alla verità che è Cristo. Solo i credenti possono con il Cristo nell’Eucaristia, nella preghiera e nella comunione nella Chiesa non cadere fuori della verità. Anche la Bibbia deve essere letta e interpretata in comunione con Cristo. La riflessione critica è necessaria per la fede e se non sono in contraddizione, sono reciprocamente fruttuose. Ma la radice di tutta la cristologia è la preghiera”.
Parole che sembrano ricalcare l’elogio della verità di Benedetto XVI nell’omelia conclusiva dello Schuelerkreis dello scorso anno.
Attorno alle sue parole, gli allievi di Benedetto XVI porteranno avanti l’eredità del loro maestro. E c’è da scommettere che Menke ricorderà che la croce non è una croce qualsiasi, ma quella di Cristo, il cui amore non ha prevenuto la croce e allo stesso modo l’ha sconfitta. “I cristiani proclamano qualcosa di oltraggioso venerando la Croce. Professano la fede in un Dio che preferisce essere crocifisso che raggiungere qualcosa con la forza; ma chi può in questo modo, nel modo dell’amore senza difese, trafigurare, trasformare e perciò sconfiggere anche la mia croce”.
Per questo – scriveva Menke in un saggio – “non è una coincidenza che il segno della croce sia divenuto la quintessenziale rappresentazione di Cristo e il segno dei cristiani. Non è solo per una ragione strumentale che i cristiani hanno messo la Croce non solo nelle chiese, ma anche su tetti, torri e picchi delle montagne.”
E ancora, scriveva Menke: “Quelli che si sono lasciati benedire dal segno della croce hanno dedicato la loro vita alla credenza che l’amore crocifisso è più forte di tutti gli altri poteri. Quelli che attraverso il segno della croce professano la loro fede in Gesù Cristo non solo ricordano Cristo, ma nell Spirito Santo si fanno includere nel loro amore crocifisso”.
Partiranno da qui, i membri del Ratzinger Schuelerkreis. Convinti, come il loro maestro, che Dio è soprattutto amore. E in attesa dell’omelia con la quale il Papa emerito chiuderà questo incontro, che il Benedetto ha voluto continuasse nonostante la sua elezione prima, e nonostante la sua rinuncia poi.

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