venerdì 21 febbraio 2014

Preghiamo per Don Gabriele Amorth

Un altro mio amico si sta spegnendo: Don Gabriele Amorth. Nel 1997 la nostra conoscenza divenne un'amicizia. Vivevo a Roma e quando capitava che avesse bisogno una mano, mi presentavo. Per molti è noto come il famoso esorcista. A me nel cuore rimangono le sue parole sulla fede e la ricerca della verità. La capacità di semplificare tutto con la felice scoperta che così facendo si trova il senso delle cose e l'essenza trascendentale. Preghiamo per lui. E' un grande uomo. E' un cristiano. Un sacerdote che ha sempre aperto le porte a tutti.

Dario Maria Minotta



lunedì 17 febbraio 2014

NON NOMINARE IL NOME DI DIO INVANO


Segni dei tempi: DUE PAPI - articolo del caro amico Antonio Socci

E’ stato ricordato, l’11 febbraio scorso, l’anniversario della “rinuncia” al papato di Benedetto XVI. Il 28 febbraio sarà un anno dalla fine del suo pontificato. Ma è sempre più misterioso ciò che accadde in Vaticano un anno fa, proprio in questi giorni. E qual è la vera natura del “ritiro” di Benedetto XVI.

SEMPRE PAPA

Nei casi precedenti infatti i papi dimissionari sono sempre tornati al loro status di cardinale o religioso: il famoso Celestino V, eletto nel 1294, dopo cinque mesi abdicò e tornò ad essere l’eremita Pietro da Morrone.

E il papa legittimo Gregorio XII che, per ricomporre il grande scisma d’Occidente, si ritirò dall’ufficio papale il 4 luglio 1415, fu reintegrato nel Sacro Collegio col titolo di cardinale Angelo Correr, andando a fare il legato pontificio nelle Marche.

Visti i precedenti lo stesso portavoce di Benedetto, padre Federico Lombardi, durante un briefing con i giornalisti, il 20 febbraio dell’anno scorso, alla domanda “e se decidesse di chiamarsi Pontefice Emerito?”, rispose testualmente: “Lo escluderei. ‘Emerito’ è il vescovo che pure dopo le dimissioni mantiene comunque un legame… nel caso del ministero petrino è meglio tenere le cose separate”.

Le ultime parole famose. Appena una settimana dopo, il 26 febbraio, lo stesso padre Lombardi dovette comunicare che Benedetto XVI sarebbe rimasto proprio “Papa emerito” o “Romano Pontefice Emerito”, conservando il titolo di “Sua Santità”. Egli non avrebbe più indossato l’anello del pescatore e avrebbe vestito la talare bianca semplice.

In questi giorni inoltre Benedetto XVI ha rifiutato il cambiamento del suo stemma pontificio, bocciando sia il ritorno a un’araldica cardinalizia, sia lo stemma da papa emerito. Intende conservare lo stemma da papa, con le chiavi di Pietro.

Che significa tutto questo? Ovviamente è esclusa ogni vanità personale per un uomo che ha dato prova del più totale distacco dalle cariche terrene (del resto qui si tratta di cose teologiche, non certo di beni mondani).

Dunque può esserci solo una ponderata ragione storico-ecclesiale, probabilmente legata ai motivi del suo ritiro (per il quale tanti hanno premuto indebitamente). Ma qual è questa ragione?

PAPA PER SEMPRE

L’unica spiegazione ufficiale si trova nel suo discorso del 27 febbraio 2013, quello in cui chiarì i limiti della sua decisione:

“Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore”. 

Attenzione, sottolineo quell’espressione “sempre e per sempre”, perché il Papa poi la spiegò così:

“Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa (…) non appartiene più a se stesso”.

Poi aggiunse testualmente:

“Il ‘sempre’ è anche un ‘per sempre’ - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo”.

E’ incredibile che una frase simile sia passata inosservata. Se le parole hanno un senso, infatti, qua Benedetto XVI afferma che rinuncia “all’esercizio attivo del ministero”, ma tale ministero petrino, per quanto lo riguarda, è “per sempre” e non è revocato. Nel senso che la sua rinuncia riguarda solo “l’esercizio attivo” e non il ministero petrino.

Quale diverso significato possono avere quelle parole? Io non lo vedo. Per questo ci si deve chiedere che tipo di “ritiro” sia stato quello di Benedetto XVI.

Sempre in quel discorso del 27 febbraio sembrò confermare la distinzione fra “esercizio attivo” ed “esercizio passivo” del ministero petrino.

Disse infatti: “Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio”.

Di fatto a queste parole, alle espressioni “per sempre” e “ministero non revocato”, si sono aggiunti poi gli atti di cui abbiamo parlato, ovvero la permanenza del nome Benedetto XVI, della veste, del titolo “Sua Santità” e dello stemma pontificio.

IN COMUNIONE CON FRANCESCO

Peraltro perfettamente riconosciuti da papa Francesco che l’11 febbraio scorso diffondeva questo tweet: “Oggi vi invito a pregare per Sua Santità Benedetto XVI, un uomo di grande coraggio e umiltà”.

Si tratta di una situazione totalmente nuova nella storia della Chiesa. Nei secoli passati infatti ci sono stati, e più volte, contrapposizioni di papi e antipapi, perfino tre per volta.

Non c’erano mai stati invece due papi in comunione, che si riconoscevano a vicenda. Ho detto “due papi” considerando che uno dei due è il papa precedente, diventato “papa emerito”, e che si tratta di una figura del tutto inedita.

Qual è infatti il suo status teologico? E cosa significa il ritiro dal solo “esercizio attivo” del ministero petrino?

Benedetto XVI, parlando ai cardinali prima del Conclave, ha anticipato la sua reverenza e obbedienza al successore. Tale è in effetti l’atteggiamento di Benedetto verso Francesco. E si è resa visibile la comunione tra i due quando hanno scritto a quattro mani l’enciclica “Lumen fidei”.

Però colpisce il fatto che nel filmato del loro incontro a Castelgandolfo, come pure nella cerimonia tenutasi nei giardini vaticani per benedire la statua di S. Michele, si vedono i due uomini di Dio che si abbracciano come fratelli e non c’è da parte di nessuno dei due il gesto del bacio dell’anello del pescatore. Viene da chiedersi: ma chi è il Papa?

UN SEGRETO FRA LORO

C’è forse un segreto, fra loro, che il mondo ignora? O vanno considerati sullo stesso piano? Sappiamo che così non può essere perché per divina costituzione la Chiesa può avere solo un papa. Ma allora?

Si aprono problemi nuovi e sorprendenti alla luce dei quali alcuni potrebbero anche attribuire significati inattesi a certi gesti di Francesco, come l’essersi presentato sulla loggia di San Pietro solo come “vescovo di Roma”, senza paramenti pontifici o la mancanza del pallio nel suo stemma papale (il pallio è oggi il simbolo dell’incoronazione pontificia avendo sostituito il triregno).

Di certo chi oggi tenta di usare uno contro l’altro fa un atto arbitrario. Del resto certi lefebvriani e i sedevacantisti che contestano l’autorità di Francesco sono egualmente ostili a Benedetto.

La preghiera costante di Benedetto per Francesco e per la Chiesa è forse il grande segno profetico di questo momento storico.

Tuttavia non si può fingere che tutto sia normale, perché la situazione è quasi apocalittica. E non si possono evitare le domande: sulle ragioni delle dimissioni di Benedetto, su quanti le hanno volute, sulle pressioni indebite che le hanno provocate. E sul suo status attuale.

UN’EPOCA MAI VISTA

Nei giorni successivi all’annuncio del ritiro, prima che egli precisasse la sua nuova situazione, anche “Civiltà Cattolica”, come padre Lombardi, aveva fatto una gaffe.

Pubblicò infatti un saggio del canonista Gianfranco Ghirlanda dove si affermava: “È evidente che il papa che si è dimesso non è più papa, quindi non ha più alcuna potestà nella Chiesa e non può intromettersi in alcun affare di governo. Ci si può chiedere che titolo conserverà Benedetto XVI. Pensiamo che gli dovrebbe essere attribuito il titolo di vescovo emerito di Roma, come ogni altro vescovo diocesano che cessa”.

In ogni caso non “papa emerito”. E invece Benedetto ha scelto di essere proprio “papa emerito”. Deve esserci una ragione assai seria per decidere di “permanere” così. E le conseguenze sono evidenti. I suoi sono segnali molto importanti mandati a chi deve intenderli e a tutta la Chiesa.

Segnala che egli continua a difendere il tesoro della Chiesa, sia pure in un modo nuovo. E sembra ripetere quanto disse nella sua messa d’insediamento: “Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi”.

Antonio Socci

venerdì 14 febbraio 2014

Le otto lettere di Giovanni Paolo II dove si menziona Medjugorje

Morale cattolica stravolta e “riscritta” dal vescovo di Treviri


mons. Stephan AckermannProvocano sofferenza e dolore le scioccanti parole pronunciate da mons. Stephan Ackermann, Vescovo di Treviri, dirompenti come un fiume in piena: rotti gli argini della fede, hanno devastato la Dottrina cattolica, ferito la sensibilità dei credenti, sconcertato tutti. Complice la solita intervista, rilasciata questa volta al quotidiano “Allgemeine Zeitung”.
Secondo un recente sondaggio, i cattolici delle diocesi tedesche riterrebbero esser fuori dal mondo i divieti imposti dalla morale sessuale della Chiesa: richiesto di un commento in merito, mons. Ackermann non ha fatto mistero di voler letteralmente stravolgere regole e precetti: «Dobbiamo rafforzare il senso di responsabilità delle persone – ha detto – ma poi dobbiamo anche rispettare le decisioni da loro assunte in coscienza». Sull’accesso ai Sacramenti per i divorziati risposati, «siamo qui a far proposte», ha ribattuto, come se tutto non fosse da sempre già stabilito e chiaro.
Circa i rapporti prematrimoniali, si è quasi rammaricato: «Non possiamo cambiare completamente la Dottrina cattolica – ha dichiarato – ma possiamo elaborare criteri per i quali in questo o quest’altro caso concreto siano giustificabili. Non ci sono solo l’Ideale da una parte e la condanna dall’altra». Evidentemente quel che insegna la Chiesa Cattolica poco gl’importa… Ancora su pianificazione familiare e contraccezione: «La distinzione tra contraccezione naturale e non – ha “esternato” mons. Ackermann – è in qualche modo artificiosa. Temo che nessuno la capisca più…».
E per l’omosessualità la Chiesa dovrebbe, a suo dire, fare appello al senso di responsabilità del singolo: «La visione cristiana dell’uomo passa attraverso la polarità dei sessi, ma noi non possiamo semplicemente bollare l’omosessualità come innaturale», benché essa non debba essere vissuta in promiscuità e quale fonte di gratificazione. Certo la Chiesa Cattolica pone come punto fermo l’unicità del matrimonio tra uomo e donna, ha proseguito, ma quando una vita di coppia, vissuta in modo fedele e cosciente, venisse iscritta in un apposito registro, «certo non potremmo ignorare l’assunzione di tale responsabilità», benché ‒ bontà sua… ‒ non ritenga essere «una soluzione» percorribile neppure la benedizione delle coppie gay promossa nelle comunità protestanti. Sconcertante.
Il celibato dei preti, a suo giudizio, non rappresenta canonicamente «un dogma», benché abbracciare il sacerdozio significhi oggi anche conformarsi a tale stato di vita. Cosa ci riservi il futuro, però, ha concluso sibillino mons. Achermann, non sarebbe dato prevedere…
Ciò che, invece, già oggi è assolutamente certo è l’atteggiamento ambiguo e provocatorio tenuto dalla Chiesa tedesca, specie in fatto di morale, tema su cui recentemente ha premuto l’acceleratore, creando in fretta e furia nuove fratture e scavando nuovi fossati: non a caso, proprio in Germania, a Francoforte, nella parrocchia di Maria Hilf im Gallus, si è da tempo autocostituita una prima comunità di credenti omosessuali, denominataProgetto: cattolico e gay, inventata per «lenire il dolore» provocato dalle gerarchie ecclesiastiche, accusate d’esser poco comprensive per il solo fatto di ribadire la Dottrina di sempre ovvero quella del buon senso e dell’adesione vera alle Scritture. L’aberrante esperimento di Francoforte fu malauguratamente approvato dall’allora Vescovo di Limburg, Franz Kampfhaus, ed a nulla sono servite le forti e vibrate critiche mosse dal suo successore, mons. Franz-Peter Tebartz-Van Elst.
Della comunità Progetto: cattolico e gay si è occupato con estrema, anzi eccessiva benevolenza il teologo Gregor Schorberger: nella tesi del suo dottorato, ha definito importante, per i credenti omosessuali, avere un luogo riconosciuto, ove sentirsi accolti anche dal clero locale. Al punto da far purtroppo sorgere analoghi tentativi anche in altre Diocesi. Nel 1972 Paolo VI ebbe a parlare di fessure, da cui «il fumo di Satana» sarebbe «entrato nella Chiesa». Oggi quelle fessure sono diventati squarci e quel fumo ha solo anticipato l’azione devastante delle fiamme infernali, che lo hanno provocato.

Don Oreste Benzi: presto Beato!!!

La congregazione per le cause dei Santi ha concesso il via libera alla causa di beatificazione di don Oreste Benzi.
«Mia mamma faceva spesso il ricamo ed io, curioso, la osservavo. Chiedevo: “Mamma cosa fai?”. “Adesso non puoi capire, aspetta e vedrai che cosa bella viene fuori”. Poi mi mostrava il lavoro compiuto: “Visto che avevo ragione?”. Da adulto ho rielaborato queste impressioni e mi hanno aiutato a capire che Dio ha un disegno su ognuno di noi, un progetto preciso che però non ci rivela tutto in una volta. Ce lo rivela un passo dopo l’altro. Come faceva mia mamma: un punto qui, un punto là e alla fine emergeva il disegno completo. Lei però il disegno l’aveva già tutto in mente fin dall’inizio. E se io mi fido del grande disegno d’amore, allora entro da protagonista in quella storia preparata da Dio che è padre» (don Oreste Benzi, Con questa tonaca lisa, Guaraldi).
È con questi occhi che don Oreste Benzi guardava ogni prostituta, tossico, barbone, orfano, anziano, handicappato. «Era lui ad andare cercarli, cambiando migliaia di cuori, offrendo a ciascuno una famiglia ma soprattutto un senso, questo il significato della nostra comunità di accoglienza». Giovanni Ramonda, oggi alla guida della Comunità Papa Giovanni XXIII, sposato con 12 figli, di cui 3 naturali e 9 accolti, incontrò il sacerdote romagnolo più di trent’anni fa. Fu un colpo di fulmine: decise di lasciare ogni progetto per seguirlo.
All’indomani della notizia dell’avvio del processo di beatificazione per il sacerdote romagnolo scomparso il 2 novembre 2007, il suo successore accetta di raccontare a tempi.it quelle virtù eroiche che la Chiesa gli ha riconosciuto. «Abbiamo chiesto l’apertura dell’iter a cinque anni dalla morte, come previsto dal diritto canonico. Vogliamo scoprire ancora di più chi era don Benzi e farlo sapere al mondo. Crediamo che possa emergere tutta la straordinarietà di un uomo che ha dato ogni attimo della sua esistenza a Cristo attraverso i bisognosi. Saranno i fatti giudicati dalla Chiesa a rivelarne la santità».
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Don Benzi diceva: «Quando io incontro il povero in me si rifà presente quel momento in cui ebbi quell’impressione profonda di mio papà che riteneva di non valere niente». E sosteneva che per rendere protagoniste le persone bisogna offrire loro il senso: «Bisogna offrire Cristo». Cosa significa concretamente?
Ripeteva che occorre proporre un incontro con Cristo «simpatetico», non discorsivo. Era gioioso e anche scherzoso se serviva. Era un prete fedele al Magistero, che vestito con la talare entrava nelle discoteche per conoscere i giovani e andava per le strade a raccogliere prostitute e barboni. Così affascinava e attraeva i ragazzi, i senza tetto, i drogati. Ma anche i personaggi famosi, i vip, i cantanti. E così conquistò anche me. Era un veicolo potente della tenerezza di Dio che viene a prendersi cura di ogni uomo. Ricco o povero, sapeva far emergere in ognuno anche l’unica risorsa rimasta, anche se nascosta lui riusciva ancora a vederla.
Come continuate senza di lui? 
Era la sua vicinanza al Signore che gli permetteva di essere così. Don Benzi non ha mai attirato nessuno di noi a sé, ci indicava la strada per arrivare a Cristo, attraverso la regola della comunità: fatta di preghiera, messa quotidiana, adorazione eucaristica, vita totalmente condivisa in cui ogni cosa è decisa insieme. Siamo consapevoli che obbedendo al Suo corpo si obbedisce a Cristo. La formazione in comunità è poi legata allo studio del catechismo e agli incontri culturali. Perché, come diceva don Benzi, per stare in piedi davanti al mondo bisogna stare in ginocchio davanti a Dio: questo ci permette di continuare a costruire sulla roccia.
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Benzi ha fondato case di spiritualità e di educazione per i giovani, case famiglia, comunità terapeutiche in tutta Italia e in tutto il mondo. Intanto stava con gli ultimi e trovava il tempo anche per lottare per i loro diritti. Come riusciva a rispondere a tutto?
Lo faceva e basta. Ricordo che alla fine ogni giornata, passata per le strade di tutta Italia a raccogliere gente, fare conferenze per sensibilizzare le persone o per cercare di far comprendere alle istituzioni l’importanza della sua lotta, arrivava a casa sfinito e fuori dalla porta c’era sempre qualcuno che lo aspettava. E lui non rifiutava nessuno, non bisognava permettere che qualcuno soffrisse da solo. Per questo dormiva appena qualche ora, seduto su una poltrona con le scarpe ai piedi. Prendendoci uno a uno in 40 anni ha costruito un’opera di migliaia di persone. È così che ha cambiato un pezzo di mondo.
E non ha mai rinunciato nemmeno alla lotta politica, tuonando pubblicamente contro le ingiustizie.
Non gli bastava mettere il braccio sotto le spalle di chi portava la croce: quel braccio bisognava anche toglierlo dalle spalle di chi le croci le produce. Se davvero tieni a una persona fai di tutto! Per questo i cristiani non possono stare in sagrestia, per questo don Benzi faceva pressione sulle istituzioni, sul Parlamento e ha voluto che la comunità si accreditasse all’Onu. Non smetteva di prendere posizione contro le leggi disumane e su ogni fatto che accadeva legato all’aborto, alla prostituzione, ai diritti dei poveri e dei malati. Così continuiamo a fare noi, giudicando e abbracciando ogni particolare del mondo.
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Benzi diceva che vivere veramente con i poveri è possibile solo per chi sta del tutto con il Signore. Che cosa aveva da offrire agli ultimi?
Da quello che diceva e faceva si capiva che la sua non era una risposta sociologica alla povertà. Sapeva che gli ultimi avevano bisogno prima di tutto di quello di cui aveva bisogno lui: l’amore di Cristo. Infatti spendere tutta la vita per chi necessita di ogni cosa, non parlare genericamente della povertà o fare un po’ di volontariato, richiede la capacità di vedere Dio nel povero. Così quanti vengono accolti dalla comunità spesso vogliono conoscere il Signore, capiscono che ciò che attendevano prima di incontrarci era innanzitutto Lui.
Siete laici che lavorano nel mondo eppure vivete un’esistenza che sembra impossibile oggi: conciliate lavoro, ospitalità e impegno pubblico. È una vita possibile per tutti?
È una vita impossibile per chi sta da solo. Noi invece possiamo abbracciare tutto senza rinunciare a nulla perché siamo insieme. Vivere così, nella semplicità, pregando e lavorando, ci rende felici. Lo dico dopo trent’anni. E molti vedendoci lo capiscono.
Avete 253 case famiglia solo in Italia, 20 comunità di recupero, diverse case di spiritualità, dimore per i senzatetto. Se si contano quelle all’estero si oltrepassano le 500 strutture con 41 mila persone riunite ogni giorno intorno alle vostre tavole. Come si è potuta espandere un’opera simile in così pochi anni?
Fa impressione anche a noi vedere come in quarant’anni questa esperienza abbia contagiato tanta gente che ha scelto di vivere in comunità. Significa che don Benzi aveva ragione: tutti aspettano di incontrare il senso della vita e di darla interamente per questo.

martedì 11 febbraio 2014

11 Febbraio : Beata Vergine Maria di Lourdes e Bernardette

1° anno del Santo Padre Benedetto XVI e del Santo Padre Francesco: Auguri e Preghiera

E’ un anno che Benedetto XVI ha lasciato il timone della Chiesa e di commenti ne abbiamo letti tanti.

Sulla elezione, poi, di Papa Francesco se ne sono aggiunti altri che passano da esclamazioni entusiastiche a demolizioni massoniche e oscurantiste.

Un proverbio dice che le chiacchiere le porta il vento…

Noi siamo qui per fare ancora tanti auguri al Santo Padre Benedetto XVI per la Sua salute e per esprimere con affetto la nostra vicinanza a tutte le Sue sofferenze.

Dire che Benedetto XVI sia stato eroico è poco. Basta leggere i Suoi scritti, riguardare i Suoi atteggiamenti per capire i segni del profeta.
Cosa avrebbe potuto fare Giovanni Paolo II se non avesse avuto la forza della finezza del Cardinal Ratzinger?!? Anche su questo punto è inutile discutere perché già la storia ha esempi di valore più di ogni possibile riflessione.

Siamo Cattolici,  non a chiacchiere, e oltre duemila anni di storia della Chiesa ci assicurano, per chi ancora avesse dubbi, che l’uomo pur porporato può fare giochini e giochetti addirittura lobby ma IL PAPA E’ ELETTO DALLO SPIRITO SANTO. Sta a noi quindi pregare e capire cosa Dio ci sta dicendo e cosa ci sta chiedendo. Se siamo, inoltre, attaccati alla Madonna con il Rosario in mano, dubbi non esistono e paure nemmeno.

Chi affermasse che Papa Francesco è per i gay, o per il sacerdozio femminile, o curasse poco il sacro... cade in errore.

Non dimentichiamo che in Vaticano c’è sempre Benedetto XVI, mente sottile e profonda, uomo di preghiera continua e un Papa  pastore di nome Francesco che sta risvegliando le masse come da tempo non si ricordava. Andate a leggere le sue omelie in Argentina o seguite tutto quello che sta dicendo nella residenza in cui ha scelto di vivere e rimarrete felice di ogni scoperta. State sereni. Non abbiate dubbi.
Abbiamo una mente e abbiamo un braccio: il cuore è sempre quello di Dio.
Questo vale anche per noi: preghiera e azione: non ci può essere l’una senza l’altra.

Caro Santo Padre Benedetto XVI  siamo con te, mai sei solo.
Caro Papa Francesco siamo con te, mai sei solo.

Maria. Mamma mia e amata Gospa, aiutaci a essere forti perché in questo periodo della Chiesa dove Dio ci ha donato queste due grandi figure, dopo il Grande Giovanni Paolo II … significa che dobbiamo essere coscienti di quello che sta accadendo, intensificare la preghiera e agire con la testimonianza. 
Questi tempi sono unici nella storia e non è necessario essere profeti o essere particolarmente illuminati per affermare in tranquillità e con coscienza che sono gli ultimi tempi… 
Quelli che già l’Apostolo Pietro, nostro primo Santo Padre, proclamava… ecco sono arrivati.


E gioia sia!

martedì 4 febbraio 2014

REGOLE PER LA PACE


Perchè pregare in latino

L’elfo Gildor dice a Frodo: “È bello sentir frasi dell’Antica Lingua sulle labbra di altri viandanti in giro per il mondo” (1). Una delle pochissime, forse l’unica “preghiera” nel Signore degli Anelli è in elfico: “Gilthoniel A Elbereth! [Salve Stella del Vespro!]“(2).
Qui incontriamo il concetto di lingua sacra. La lingua sacra può essere concepita come mezzo per esprimere e quindi partecipare ad un “mistero”, cioè ad una azione che trascende l’agire comune, banale, “profano”; oppure come strumento di una azione magica. Da una parte espressione di fede, dall’altra di tecnica e di potere. Cfr. l’episodio degli esorcisti ambulanti ebrei (i figli di Sceva) raccontato nel capitolo 19 degli Atti degli Apostoli, dove il santo nome di Gesù, che comprende l’ineffabile nome di Dio accanto al termine “salva”, è usato come talismano per scacciare gli spiriti, quindi senza fede.
Il Cristianesimo non dispone propriamente di una lingua sacra. In ciò si differenzia dal Giudaismo, dall’Islam e dall’Induismo. Le parole di Gesù sono tradotte in greco nel testo canonico del Nuovo Testamento e anche l’Antico Testamento è citato nella traduzione dei LXX, il cui valore e il cui significato per il Cristianesimo è difficilmente sopravvalutabile.
Ciò non toglie che anche il Cristianesimo conosca delle “antiche lingue”: le lingue liturgiche. Le grandi tradizioni apostoliche dell’antichità cristiana si cristallizzano attorno a delle lingue liturgiche e alla lingua in cui è tradotta la Bibbia.
Tradizione Antiochena: siriaco (aramaico), la lingua della traduzione detta Peshitta. A questa tradizione appartengono le liturgie siro-occidentale e siro-orientale (detta anche “assira” o “caldea”), che – in India – è divenuta la liturgia siro-malabarese.
Tradizione Bizantina: greco, la lingua della traduzione dei LXX. A questa tradizione appartengono le liturgie di S. Basilio e S. Giovanni Crisostomo.
Tradizione Alessandrina: copto. Il copto deriva dall’antica lingua degli egiziani e si divide in “dialetti”: bohirico e sahidico. In questa lingua è celebrata la liturgia di S. Marco, detta anche – appunto – liturgia “copta”. Da questa liturgia deriva la liturgia etiopica, celebrata nell’etiopico antico, il gheez. In gheez abbiamo anche una traduzione della Bibbia, nel cui canone sono inclusi anche diversi apocrifi che ci sono giunti solo attraverso questa traduzione.
Tradizione Romana, a cui corrisponde ovviamente il latino con la traduzione Vetus Latina e la più nota Vulgata. In questa lingua sono (o furono) celebrate venerabili liturgie: romana, ambrosiana, celtica, gallicana, visigotico-mozarabica.
La prassi della Chiesa rispetto alle “antiche lingue” nelle varie tradizioni è stata diversa. La Chiesa latina ha mantenuto il latino in modo pressoché esclusivo dai tempi del pontificato di S. Damaso (366-384) fino al concilio Vaticano II. La Chiesa bizantina ha sempre ammesso la possibilità di traduzioni totali o parziali. Sono così nate le liturgie bizantino-slava, bizantino-rumena, ecc.
Le Chiese orientali hanno ammesso – nel tempo – traduzioni parziali. Sia i copti, per es., che i Maroniti, passano alternativamente dall’arabo alla lingua liturgica copta o siriaca.
Si pone qui il non facile problema della traduzione. Che cosa vuol dire tradurre? Il greco hermeneuô significa sia interpretare che tradurre. Come il latino interpretari. Tradurre è – in ultima analisi – un dispositivo linguistico finalizzato a “far comprendere”. Ma appunto, “che cosa far comprendere”?
Si tratta di un mistero: questo è ciò che deve essere capito. Ma non è contraddittorio “capire il mistero”? Qui sono indispensabili alcune premesse. Innanzitutto il mistero della rivelazione biblica non è propriamente una “cosa”, ma una azione. Un’ azione la si capisce propriamente se – almeno in qualche modo – vi si partecipa. Non dobbiamo poi intendere il mistero come ciò in cui “non c’è niente da capire”, ma esattamente come il contrario: “ciò in cui vi è troppo da capire”. Non quindi mistero come “buco nero”, come somma di oscurità, ma come eccesso di luce. Il buio è – secondo l’efficace metafora usata da Aristotele – l’effetto che fa la luce del sole sull’occhio della “nottola” cioè l’animale notturno, il pipistrello o la civetta…
Davanti all’effetto di buio del mistero si rimane stupiti e quindi silenziosi. Myô in greco vuol dire “tacere” (è un verbo che sprime bene lo sforzo di due labbra che premono l’una contro l’altra) e di lì viene il termine mysterion.
Si tratta quindi di un mistero, ma di un mistero da capire almeno un po’, perché bisogna parteciparvi. Anche qui sarebbe opportuna una distinzione tra capire (o sapere) e comprendere, che non sono affatto la stessa cosa…
A questo proposito abbiamo il caso limite della Chiesa etiopica dove il gheez ormai non è più capito neppure dal sacerdote. Ore ed ore a pregare e cantare in una lingua incomprensibile… Non può costituire certo un modello da imitare, induce però a riflettere sui limiti del dispositivo “traduzione”. Una Chiesa ha continuato a mantenere viva la sua tradizione di fede praticando la liturgia in una lingua sconosciuta e d’altra parte è illusorio pensare che ogni problema di partecipazione sia magicamente risolto mediante una semplice traduzione linguistica… Si capisce tutto! Ma che cosa si capisce?
Una affermazione può quindi e deve essere fatta in tutta sicurezza: la Chiesa in tutte le sue tradizioni ammette come plausibile pregare in una lingua che non tutti conoscono. La lingua “antica” e sconosciuta diventa cioè un simbolo liturgico. Un “oggetto” liturgico che si affianca agli altri: altare, vesti, vasi, ecc. Come la traduzione è un dispositivo al servizio della comprensione, la lingua un po’ “sconosciuta” diventa un dispositivo al servizio del mistero.
Naturalmente – posto la natura del mistero, che abbiamo cercato di lumeggiare – ci dobbiamo chiedere fino a che punto una lingua può essere “sconosciuta” per servire alla bisogna. Una lingua assolutamente sconosciuta rischia di assumere la funzione dell’abracadabra delle favole o del sala gadula mencigabula, bibidi bobidi bù dei film di Walt Disney…
Il mistero si profila nel “chiaroscuro” della fede. Il problema della lingua liturgica va quindi visto almeno in una duplice prospettiva: una lingua antica, dal sapore “arcano”, ma non “astruso”, che sia quindi ancora uno strumento comunicante.
Possiamo allora valutare serenamente i pregi e i difetti di una lingua liturgica diversa da quella corrente.
Tra i pregi dobbiamo certamente ascrivere il collegamento che essa assicura con le radici proprie di una data tradizione liturgica, che è sempre anche tradizione teologica e spirituale. Si vive così in una comunione che è insieme diacronica e sincronica. Ricordo ancora con emozione il giorno che – durante una lunga giornata di confessioni all’aperto (si era nel 1987) accanto alla chiesa di Međugorje – mi si avvicinň un anziano signore dicendomi: “Ego sum sacerdos hungaricus, volo confiteri…”.
Una lingua “antica”, quindi non più correntemente parlata, è sottratta all’inevitabile mobilità della vita e garantisce quindi una certa fissità del linguaggio. Una fissità che non guasta quando l’argomento riguarda ciò che è eterno… “Le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne” (2 Cor 4,18).
Un’antica lingua conserva dunque una connaturale simpatia – sintonia con il mistero.
Tra gli inconvenienti dobbiamo ascrivere soprattutto la pratica scomparsa del latino dai programmi scolastici. Perché una lingua liturgica “funzioni” non è indispensabile che tutti la capiscano, ma che qualcuno la capisca sì…
Note:
(1) John Ronald Reuel Tolkien, Il Signore degli Anelli. Trilogia, edizione italiana a c. di Quirino Principe – introduzione di Elémire Zolla, Bompiani, Milano 2000, p. 124.
(2) Ibid., p. 879.

Sud Sudan, vescovi: «Il sangue degli innocenti, a migliaia, grida dal suolo. Dove sono i nostri Mandela?»

«Siamo davanti a uno dei più gravi momenti di crisi che abbiamo mai affrontato. Il sangue degli innocenti, a migliaia, grida dal suolo! Dio giudicherà duramente chi continuerà a uccidere, stuprare e derubare i suoi figli innocenti. (…) Ora è giunto il tempo per una nuova nazione». Così hanno scritto i vescovi cattolici del Sudan e del Sud Sudan nell’esortazione pastorale, ottenuta da tempi.it, scritta dopo un incontro straordinario che si è tenuto a Juba dal 21 al 31 gennaio.
DIECIMILA MORTI. I vescovi si sono riuniti per discutere della gravissima situazione che il Sud Sudan, che ha ottenuto l’indipendenza nel 2011 dopo 20 di guerra con il Sudan e due milioni di morti, si trova a vivere.
Negli scontri cominciati lo scorso 15 dicembre tra l’esercito del presidente Salva Kiir e quello del vicepresidente deposto, Riek Machar, accusato di tentato golpe, sono già morte circa 10 mila persone, mentre 500 mila sono gli sfollati.
sudan-sud-guerra-scontri«I RESPONSABILI SI CONVERTANO». «Siamo rimasti scioccati – si legge ancora – dagli eventi che hanno sconvolto la nostra nazione. Siamo stati testimoni di fatti che non sarebbero mai dovuti accadere sul nostro suolo. Non possiamo rimanere in silenzio. Gesù non è venuto per condannare ma per redimere. Anche noi non condanniamo gli individui, ma il male sì. Chiediamo che i responsabili si pentano e convertano i loro cuori».
RIFORME E MENO CORRUZIONE. Secondo i vescovi, gli scontri sono dovuti a problemi mai risolti nel paese: quelli «interni al partito di governo», che ha bisogno di «urgenti riforme democratiche» e che non può «destabilizzare il paese per i suoi problemi interni»; quelli che riguardano «chi amministra il potere», che deve pensare di più agli «interessi della comunità» perché si ponga fine «alla corruzione e al nepotismo», che generano «risentimento e disillusione».
La Chiesa ha anche chiesto la riforma dell’esercito e una «riconciliazione» che deve passare attraverso «il racconto della verità» e la partecipazione ai colloqui di pace della Chiesa e di tutti gli attori civili, che invece sono stati esclusi a vantaggio dei gruppi militari.
«DOVE SONO I NOSTRI MANDELA?». Infine i vescovi hanno sottolineato la necessità di «puntare sull’educazione dei giovani» per riconciliare il paese e di lavorare alla costruzione di una sola identità.
«Dove sono i nostri Mandela? Dove sono gli uomini che ci porteranno a rifondare questa nuova nazione indipendente? Siamo speranzosi che i sudsudanesi si rialzeranno da questa crisi» per ricostruire «la nostra nazione su salde basi di verità, giustizia, riconciliazione, diversità e pace, fondandosi sui valori del Vangelo proclamati nella Dottrina sociale della Chiesa».

ECCOCI MADRE, GUIDACI!


Mentre invitiamo a mantenere gli impegni quotidiani personali già presi, esortiamo per diventare “un cuor solo e un'anima sola” a mettersi in unione spirituale col Movimento in uno o più appuntamenti in modo costante.

Ore 7.30 Santo Rosario
Ore 12.00 Angelus (da Pasqua a Pentecoste Regina Coeli)
Ore 15.00 Coroncina della Divina Misericordia
Ore 17.20 Santo Rosario
Ore 17.40 * 18.40 (ora solare-ora legale) Apparizione della Vergine Santissima a Medjugorje
Ore 20.30 Santo Rosario
Ore 24.00 Santo Rosario
Ore 3.00 Coroncina della Divina Misericordia

Mercoledì e Venerdì: Digiuno a pane ed acqua. Per chi non può non un fioretto ma un "fiorone"... e comunque sempre digiuno dal peccato!

Terminiamo ripetendo sempre:
Maria, Regina della Pace e del Movimento, Madre mia: totus tuus!